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Krakow

Royal Philharmonic Orchestra, Vasily Petrenko (conductor)

ICE Krakow

Bruch. Violin Concerto in G minor

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Asolo

Asolo – Krylov, Carbonaro, Campaner | Sipario

XLIII FESTIVAL INTERNAZIONALE DI MUSICA DA CAMERA

HISTOIRE DU SOLDAT Con Sergej Krylov, violino, Alessandro Carbonare, clarinetto, Gloria Campaner, pianoforte

Francesco Bettin, September 19, 2021

The Times

Quando sul palco salgono grandi musicisti in grado di trascinare letteralmente il pubblico con i loro virtuosismi è sicuramente festa grande, ed è quello che in pura sintesi è capitato nel penultimo appuntamento degli Incontri Asolani, al XLIII Festival Internazionale di Musica da Camera. Eravamo ad Asolo, in una cornice peraltro già di per sé estasiante, la Chiesa di San Gottardo, e si esibivano tre artisti di gran livello, Sergei Krylov al violino, Alessandro Carbonare al clarinetto e Gloria Campaner al pianoforte. Location di prestigio la chiesa francescana, di origine trecentesca, con tele di grande suggestione, che ha in qualche maniera accompagnato con la sua magnificenza un concerto molto atteso. “Histoire du soldat” era il semplice titolo richiamante l’opera scritta da Stravinskij, della quale veniva presentata la seconda suite nei cinque momenti per violino, clarinetto e pianoforte, mentre il resto del programma ha riguardato sonate, ballate e divertissement di altri compositori, con la chiusura affidata a Kovàcs e Kuttenberger, Sholem Aleikem, Rov Feidman, per clarinetto e pianoforte, e Habdala-Freilach Dance, per clarinetto, violino e pianoforte. Un programma in crescendo, che è partito dalla celeberrima storia del soldato che incontra il Diavolo, e gli vende il violino, cioè l’anima, cercando poi di recuperarlo attraverso varie peripezie finendo però malamente. I tre musicisti hanno affrontato Stravinskij con precisione e senza suggestioni, in un tema che come si sa mostra il compositore in una forma rigorosa, altalenante nei generi ( vengono affrontati anche il tango argentino, il ragtime, il valzer), che non manca di una certa linearità, e che ha fatto notare i diversi registri esperti di Krylov, Carbonare e Carboner. Un trio di alto livello, che si è subito confermato nelle composizioni eseguite seguenti, la Sonata n. 2 in sol maggiore per violino e pianoforte, in tre movimenti, di Ravel, il Divertissement per violino e clarinetto di Milhaud, dove si è potuto soprattutto apprezzare l’intesa tra Krylov e Carbonare. Stravinskij e la sua musica sono ritornati subito dopo, nei tre pezzi per clarinetto solo, seguito da Ballads, da Porgy and Bess, per tutti e tre gli strumenti, altra intesa di grande raggio dove Gloria Campaner con il suo tocco deciso e felpato allo stesso tempo ha mostrato a sua volta il rigoroso impegno e una formazione di alta scuola. Diversi, determinanti per la completezza ottimale della serata sono stati i due momenti musicali finali, che hanno richiamato estri artistici facenti capo all’Est Europa e all’ebraismo, forte fonte di tradizione musicale. Nella prima composizione di Bèla Kovàcs, dedicata a Giora Feidman, re del kletzmer, si sono visti e sentiti i Balcani in tutta la loro pienezza, in un crescendo che diventava attesa, e ripartiva. Il clarinetto di Alessandro Carbonare è stato ispiratissimo, partito lancia in resta e ha mostrato molto bene come la musica kletzmer abbia sempre dato indicazioni e altrettante folgorazioni agli esecutori, portandoli a interpretarla con enfasi e bellezza della vita, come si addice del resto a una “musica felice”, così chiamata in certi contesti culturali. Non ha potuto essere altrimenti, infatti, in quanto esprimeva la gioia di vivere e l’allegro modo di guardare il mondo con occhi contenti e con il sorriso, ben lontano dunque dalle pene e dalle tristezza che invece quotidianamente l’individuo medio si porta dietro. Una tradizione di musica yiddish che siamo sicuri hanno apprezzato in molti, e che ha dato il senso di benessere, voglia di leggerezza e di dimenticarsi dei problemi, una visione della vita che al contrario guarda al bello. Ed è andata in questa direzione anche la parte conclusiva del concerto, con la musica di Kuttenberger che è andata a rinnovare uno spirito liberatorio, con i tre musicisti divertenti e divertiti sul palco, in pieno virtuosismo, al quale il folto pubblico non ha certo mancato di tributare un pieno successo certo molto gratificante.

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Monaco – Jukka-Pekka Saraste | CLASSIQUENEWS

The interpretation of the Russian violinist is a shock for us, it makes us rediscover the score as if it was our first day. With guts and panache, the soloist demonstrates a refreshing creativeness, especially in the adagio, singing like never was done before, bringing out a brilliant musicality. Impeccable technique, sensibility on the verge, sumptuous sound (ah… the low and medium registers!!), incandescent lyricism and Slavic sensuality, everything was there!

Trieste

Trieste – Teatro Verdi | OperaClick

Trieste - Teatro Verdi: Secondo concerto della stagione autunnale

Direttore e violino solista - Sergej Krylov Orchestra del Teatro Verdi di Trieste

OperaClick, Paolo Bullo, September 2020

“…Krylov truly bewitched the whole theater with his technical background as an excellent violinist, which maintains elegance even in the excited and almost licentious dialogues with the bell.
 
…Sergej Krylov is one of those all-round artists who always guarantee excellent technical performance but, above all, he has personality and charisma that ignite the spark of empathy with the spectators.
 
Krylov the conductor maintains the same characteristics as the soloist. He throws himself headlong into the music without hesitation, he clings to the notes making them his own, creating his own interpretation and at the same time maintaining respect for the author.
 
…A well-deserved personal triumph for Sergej Krylov, repeatedly called back on stage and receiving the ovation when leaving the theatre.
 
…After the sold out  first concert, the second performance of the Verdi autumn season in Trieste was sold out too.”

 

Dopo il sold out del primo concerto , anche il secondo appuntamento della stagione autunnale del Verdi di Trieste è andato esaurito: è un ottimo risultato che, almeno dal mio punto di vista, va al di là di ogni previsione più rosea. La cultura sconfigge la paura del Covid-19? Forse è ancora presto per dirlo, ma il pubblico triestino sta rispondendo come meglio non potrebbe.
Sergej Krylov è uno di quegli artisti a tutto tondo che garantiscono sempre un rendimento tecnico di eccellente livello ma, soprattutto, ha personalità e carisma che fanno scoccare la scintilla dell’empatia con gli spettatori. Oggi c’è bisogno anche di questa caratteristica, oltre che delle doti tecniche, e perciò l’idea di affidargli in toto la responsabilità della serata è risultata vincente.

Il Krylov direttore d’orchestra mantiene le stesse caratteristiche del solista. Si lancia a corpo morto sulla musica senza remore, si avvinghia alle note facendole sue, creando una propria interpretazione e al contempo mantenendo rispetto per l’autore.
In questo modo la musica esce bella grassa, palpitante e carica di tensione emotiva ma sempre entro i binari di una scansione ritmica controllata e di agogiche e dinamiche disciplinate. Con queste premesse l’iniziale pagina di Čajkovskij (Romeo e Giulietta, Ouverture-Fantasia in si minore) ha subito coinvolto il pubblico grazie ai vividissimi colori contrastanti che percorrono la tragica storia degli innamorati shakespeariani.

A seguire il notissimo (e meraviglioso) Concerto in mi minore per violino e orchestra op.64 di Mendelssohn, che è sembrato quasi un proseguimento ideale, una seconda tappa nel viaggio della musica romantica dell’Ottocento. Scritto quasi “in collaborazione” con il violinista Ferdinand David, il brano ha caratteristiche ideali per esaltare le migliori doti di Krylov: passionalità e virtuosismo.
La Sinfonia da La gazza ladra di Rossini, il cui andamento tumultuoso e al contempo umoristico servì a Stanley Kubrick per fare da contraltare alla folle violenza di Alex e i suoi drughi nel memorabile film Arancia meccanica, ha poi introdotto il Rondò La campanella dal Terzo concerto in si minore di Niccolò Paganini.

E qui, come era lecito aspettarsi, Krylov ha davvero stregato tutto il teatro con il suo bagaglio tecnico di violinista eccelso, che mantiene eleganza anche nei concitati e quasi licenziosi dialoghi con il campanello.
Resta da dire dell’Orchestra del Verdi, che ha manifestato evidente gradimento a Sergej Krylov ma, soprattutto, ha suonato mirabilmente bene in tutte le sezioni. Senza far torto a nessuno vorrei però segnalare il brillante rendimento dei legni e delle percussioni.

Trionfo personale, meritatissimo, per Sergej Krylov, più volte chiamato al proscenio e acclamato anche all’uscita del teatro. Quasi indispensabili due bis, in veste di direttore d’orchestra, dedicati a Mozart e Mendelssohn.

 

La recensione si riferisce alla recita del 27 settembre 2020.

Piotr Ilyitch Tchaikovsky Romeo e Giulietta, Ouverture-Fantasia in si minore

Felix Mendelssohn- Bartoldy Concerto in mi minore per violino e orchestra op.64

Gioachino Rossini Sinfonia da La gazza ladra

Niccolò Paganini “La campanella”, terzo tempo dal concerto n.2 in si minore per violino e orchestra op.7

 

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Bari – Krylov, Orchestra della Fondazione Petruzzelli | La Gazzetta del Mezzogiorno

La Gazzetta del Mezzogiorno Review : Krylov, Petruzzelli

UGO SBISÀ, July 12, 2020

L’incanto di Krylov maestro dell’archetto dal lirismo profondo

Il violinista moscovita applaudito al Petruzzelli.

Bari – Se ascoltare un grande violinista è già di per sé un’esperienza esaltante, l’occasione di vederlo confrontarsi con un programma che ne metta in risalto la musicalità più che la sola padronanza tecnica è a maggior ragione imperdibile. Inevitabile questa riflessione dopo il concerto tenuto al Petruzzelli da Sergej Krylov e proposto ancora in replica domani e martedì alle 19.30.

Per il suo ritorno barese con l’orchestra dell’ente lirico – con la quale si è esibito nella doppia veste di solista e direttore – il virtuoso moscovita ha scelto un programma «ragionato» che è partito dal celeberrimo Concerto in la maggiore n. 5 Kv 219 di Mozart, opera forse tra le più note di quelle dedicate al violino dal Salisburghese e appunto permeata da un afflato quasi operistico che mette decisamente in secondo piano – pur richiedendola – la grande tecnica. L’interpretazione di Krylov è apparsa decisamente in linea con le intenzioni dell’autore, tutta protesa a esaltare il melos dell’arioso Allegro aperto e del toccante Adagio, prima di illuminare i toni vivaci del Rondò conclusivo, la cui celebre sezione centrale dal sapore orientale ha fatto sì che l’intero Concerto fosse definito «alla turca».

Nelle mani di Krylov, tuttavia, proprio il movimento conclusivo ha assunto un sapore più zigano che non propriamente turchesco, ma in ogni modo sempre ricco di fascino. Ed è stato, quello dei sapori zigani, un «assaggio» prima delle conclusive Danze popolari rumene di Bela Bartok. Nelle mani di Krylov, questa breve suite si è illuminata di un trasporto e di una passionalità che hanno saputo fondere mirabilmente l’animo slavo con le melodie tradizionali del Paese dei Carpazi, proponendo un finale di programma dai toni scintillanti.

Tra le due opere violinistiche, il compito di rappresentare la parentesi orchestrale – peraltro ottimamente affrontata, come tutto il programma, dall’orchestra del teatro – toccava al Concerto per orchestra d’archi di Nino Rota, una pagina breve, benché in quattro movimenti, scritta nel 1964 per l’ensemble dei Musici. In questa composizione Rota volle dare prova del suo intelligente eclettismo, applicando ad esempio nel Preludio dei passaggi contrappuntistici dal sapore bachiano a un linguaggio figlio del Novecento.

E tuttavia è difficile non cogliervi, ad esempio nello Scherzo, alcune atmosfere espressive dal taglio squisitamente felliniano, sensazione quest’ultima che appare ancor più evidente nel Finale – Allegrissimo, che sembra quasi anticipare le frenetiche atmosfere di Prova d’orchestra. Krylov ne ha offerto un’interpretazione sensibile, intelligente, ma soprattutto equilibrata: si tratta infatti di una composizione che, al pari di molte pagine mozartiane, cela dietro l’apparente semplicità non poche insidie interpretative.

Applausi per solista e orchestra, ma anche emozioni inattese e profonde nei due bis per violino solo offerti da Krylov e congegnati con grande maestria. Ha aperto le «danze» il Preludio dalla Partita n. 3 in mi maggiore di Bach, che Krylov ha riletto esaltandone le architetture polifoniche con piglio romantico e facendo ampio impiego di accelerandi e diminuendi che sembravano voler condurre la platea negli abissi dell’anima. E sempre di abissi, ma questa volta dai colori quasi danteschi, si deve parlare per la Sonata n. 2 del belga Eugene Ysaye, che prende le mosse proprio dalla citazione del Preludio bachiano – e infatti, sulle prime, c’è stato chi ha pensato che lo stesse rieseguendo – prima di inabissarsi nelle cupe e deliranti variazioni sul tema del Dies Irae. Una scelta rara, quella di Krylov, impreziosita da una interpretazione degna della migliore scuola violinistica. Un’occasione da non perdere in vista delle ulteriori due repliche ancora in programma.

Sergej Krylov (violin and conductor)

Orchestra della Fondazione Petruzzelli

W.A. Mozart

Concerto per violino n. 5 in la maggiore K219 

N. Rota

Concerto per archi

B. Bartok

Danze Popolari Rumene

Fondazione Petruzzelli, Bari, July 10, 11, 13 & 14 2020

2020 Vision, Sergej Krylov, Osmo Vanska, LPO,

London

Royal Festival Hall: a performance with the London Philharmonic Orchestra and Osmo Vanska just before the first lockdown.

Spohr. Violin Concerto No.2 in D minor, Op.2

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London | The Guardian ★ ★ ★ ★

Krylov, Vänskä, LPO, Royal Festival Hall

Tim Ashley, February 26, 2020

LPO/Vänskä review – understated dexterity meets energy and fire

Royal Festival Hall, London

“Krylov sounded superb, playing with attractive sweetness of tone and easy, if understated dexterity”

Violinist Sergej Krylov was superb in Spohr’s Second Violin Concerto, with conductor Vänskä bringing precision and attack to works by Elgar, Webern and Rautavaara.

The centrepiece of Osmo Vänskä’s first concert in the London Philharmonic’s 2020 Vision series was Louis Spohr’s rarely heard Second Violin Concerto, with Sergej Krylov as soloist. Spohr (1784-1859), a virtuoso violinist as well as a composer, was as famous as Beethoven in his lifetime and professed an at times guarded admiration for the latter’s work. His own music, however, is uneven, and the concerto is no masterpiece.

There are dips throughout in melodic and thematic inspiration and little sense of dramatic interaction between soloist and orchestra. The novelty lies in the difficulty of the violin writing, most notably in the adagio, double-stopped throughout and creating the illusion of two violins playing a duet in counterpoint. Krylov sounded superb, playing with attractive sweetness of tone and easy, if understated dexterity. Neither he nor Vänskä, however, could disguise the fact that the polonaise finale overstays its welcome.

Spohr’s concerto was placed alongside Elgar’s In the South and Webern’s Im Sommerwind, both from 1904, and Rautavaara’s Book of Visions, written a century later. Elgar’s concert overture, reflecting on the beauty of Italy and the violence of its history, can turn grandiloquent, though Vänskä’s interpretation had marvellous energy and dramatic fire. Rautavaara’s spiritual meditations run the risk of seeming nebulous, but here their blocks of sound and shifting dissonances hit home with considerable force. Im Sommerwind was the evening’s high point. Conducted with scrupulous attention to detail and played with breathtaking precision, it reminded us that despite its flaws in shape, its thematic compression and fragmentation contain in embryo so much that was to follow in 20th-century music.